sabato 28 febbraio 2009

LEONARD COHEN / ANTHEM




SIERRA LEONE: I bambini vittime di bambini soldato

Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare, nel febbraio scorso ha visitato il progetto che la Fondazione "aiutare i bambini" ha realizzato in Sierra Leone in collaborazione con Padre Maurizio Boa, per sostenere le spese scolastiche di 30 bambini orfani che hanno subito amputazioni a Freetown.
Durante le sue giornate a Freetown, Raffaele ha incontrato bambini con alle spalle storie orrende, di violenza e ferocia che li hanno segnati anche fisicamente. Raffaele ha raccolto queste storie e ce le racconta mostrando quanto un aiuto, come quello di Padre Maurizio, può significare per far tornare sorrisi cancellati dal terrore.

"Uno dei lati del cortile è delimitato da un ampio muro dipinto di giallo oltre il quale ci sono le camerette: piccole, ordinate, sobrie, con i letti a castello. Le ragazze - adolescenti intorno ai 14-15 anni - chiacchierano allegre nel cortile, alcune si fanno le "treccine" a vicenda, altre ascoltano musica da un vecchio registratore, altre cucinano riso e carne in un pentolone su un fuoco di legna che arde nel centro del cortile.
Fuori la caotica Freetown vive le ultime ore di luce della giornata. Sulla Kissy Road sfrecciano auto sgangherate, taxi collettivi, camion stracolmi a fianco di file di pedone che, a loro volta, trasportano mercanzie varie, sacchi di farina, fascine di legna, le donne con bambini legati sulla schiena e in equilibrio sul capo secchi, taniche, fagotti. Tra poco la città piomberà nel buio, a Freetown non c'è la luce elettrica. Non per questo la vita si fermerà, gli abitanti ci sono abituati: la luce è un lusso, l'importante che non ci sia la guerra.
Tutti la ricordano la guerra, dieci anni di follia, uno dei conflitti più crudeli e feroci di tutto il continente. Una sciagurata formazione guerrigliera, il Ruf, Fronte Unito Rivoluzionario, ha inondato di terrore il paese con una guerra civile combattuta da ragazzini. Qui i bambini soldato sono stati usati in modo scientifico dal leader guerriglieri. Quando veniva attaccato un villaggio gli adolescenti erano obbligati a compiere gli atti più disumani come uccidere i genitori o le sorelle. Un sistema per annullare nelle loro coscienze qualunque barlume di umanità. Poi venivano inquadrati nelle file del Ruf, spesso drogati, ai più grandi veniva dato un kalashnikov, i più piccoli costretti a fare i lavori di fureria: lavare i panni dei comandanti, cucinare, trasportare materiale e armi nei trasferimenti nella boscaglia.
Le ragazze della Casa Famiglia di Don Maurizio, missionario da anni a Freetown, conoscono bene questi bambini-soldato, ne sono le vittime. Sinnah, quattordici anni, è stata accecata in un modo crudele, le hanno fatto colare negli occhi le gocce di un sacchetto di plastica bruciato. Con Saffy sono stati più spicci, le hanno cavato gli occhi con la baionetta. Sidimba ha un altra storia, fa parte della folta schiera di mutilati. Con un colpo netto di machete le hanno amputato il braccio destro all'altezza della spalla, non potrà mai portare una protesi. Nel linguaggio crudele dei guerriglieri era una "manica corta". Altri mutilati, le "maniche lunghe" sono stati più fortunati, hanno tagliato un braccio all'altezza del polso. Ma in questo feroce repertorio di crudeltà c'era la variante della doppia amputazione: al polso ma ad entrambe le braccia.
In Sierra Leone gli amputati sono migliaia. Questa pratica è stata usata su larga scala e in modo scientifico per spargere terrore e privare il governo di qualunque sostegno. Oggi i mutilati sono un peso per il paese: sono improduttivi e avrebbero bisogno di essere assistiti, di fatto sono abbandonati a se stessi.
Paradossalmente Sidimba, Saffy, Sinnah e le altre sono fortunate. Padre Maurizio le ha accolte nelle sue case famiglia, paga loro la retta per andare a scuola e ha organizzato le residenze in modo che la solidarietà sia la regola. Chi è cieca viene aiutata da chi può vedere e queste, che sono mutilate di braccia o gambe, possono avvalersi degli arti delle loro compagne. La vita nella Casa Famiglia si svolge all'insegna dell'aiuto reciproco e i risultati si vedono: a scuola Saffy, Sidimba, Sinnah sono tra le migliori della loro classe e Padre Maurizio ne è orgoglioso.
Ma le Case Famiglia sono una goccia nel mare dei bisogni della Sierra Leone. Girare per Freetown dà l'idea di cosa è successo in questo paese. Uomini e donne mutilate chiedono l'elemosina su tutte le strade del caotico centro cittadino. Non hanno nulla e spesso sono abbandonati anche dalle loro famiglie che hanno già grosse difficoltà a sfamare i figli. Nel groviglio di auto che si forma nella piazza dell'Albero del Cotone, un tronco maestoso che fa da monumento nazionale perchè vi venivano incatenati gli schiavi, si concentrano i doppi mutilati. Con i loro moncherini tengono un bicchiere di plastica che tendono vicino ai finestrini delle auto. La loro condizione è penosa: hanno bisogno di aiuto per tutto, anche per le banali esigenze quotidiane come mangiare, lavarsi, vestirsi.
Padre Maurizio anche per loro ha cercato di mettere in campo la solidarietà. Hanno bisogno di una famiglia, di un aiuto quotidiano e così con gli aiuti che gli arrivano dall'Italia per alcuni di loro ha costruito e gli ha intestato una casa, uno stratagemma per non farli abbandonare dalle loro famiglie che rimangono con loro grazie al fatto che il loro congiunto può offrire loro un privilegio come una casa vera in muratura per la quale non bisogna pagare un affitto.
E' il caso di Adam al quale Padre Maurizio ha costruito una casa a Waterloo, un sobborgo appena fuori Freetown. Sta seduto all'ombra nella piccola veranda e ricorda il giorno in cui i guerriglieri gli tagliarono entrambe le braccia: stava andando in città quando i guerriglieri lo intercettarono, erano tutti adolescenti molto più giovani di lui. Il capo, un ragazzo sui venti anni, gli impose di appoggiare le mani sul tronco di un albero. Non si accorse nemmeno di cosa stava per accadere quando un ragazzino, con un colpo netto di machete, lo colpì su un avanbraccio e poco dopo sull'altro. In pochi attimi era diventato un mutilato grave. I guerriglieri gli misero le mani in tasca e gli dissero di correre in città e annunciare il loro imminente attacco a Freetown. Era diventato un monito, un sistema per terrorizzare civili e soldati dell'esiguo esercito governativo che difendeva la capitale.
Oggi a guardare Sinnah, Sidimba e Saffy ridere serene nel cortile della loro Casa Famiglia quel passato sembra lontanissimo. Loro non ne parlano ma c'è da stare certi che più di una volta quelle drammatiche storie hanno fatto incursione nei loro sogni e, purtroppo, a volte, si ripercuote anche nelle loro speranze nel futuro. Sidimba è la più loquace e a volte ne parla: "volevo essere bella" - dice con un sorriso triste. Poi cerca di cacciare l'ombra di ricordi che le passa davanti agli occhi: "Quando avrò finito di studiare voglio fare la manager di Banca" - dichiara decisa. "

Grazie a Raffaele Masto per la sua preziosa e toccante testimonianza

ESTRAPOLATO DA:
www.aiutiamoibambini.it

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